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EX CONVENTO IN ALBANIA

Nel cuore del nord dell’Albania un ex convento, adibito a carcere durante il regime, è stato aperto al pubblico da 8 suore di clausura, perché raccontare storie scomode cadute nell’oblio significa costruire una coscienza collettiva capace di non ripetere gli stessi errori in futuro.Non sono molti i turisti che visitano Scutari, culla della civiltà e della storia albanese. I pochi che vi si avventurano però, non tralasciano di visitare l'antico baluardo arroccato sulla collina che sovrasta la città e si specchia nelle acque del lago. Dicono che il muschio umido che ne ricopre le rovine, sia bagnato dal latte di Rozafa, una giovane mamma che venne murata viva nel castello, ma pregò i suoi carnefici di poter liberare dalla pietra una mano per cullare il suo bambino e un seno per allattarlo. La leggenda è viva oggi nella memoria delle donne, che si recano a toccare il muschio per chiedere la protezione di Rozafa sulla loro gravidanza.
Pochi però sanno che anche il cuore della città nasconde una storia, anzi tante storie. Storie vere, non leggende, testimoniate da simboli incisi sui muri bianchi delle piccole celle di un convento, vicino alla piazza centrale della città. , proprietà dei frati francescani fino al 1946, quando fu sequestrato e trasformato in carcere dopo l'abolizione degli ordini religiosi voluta dal regime comunista, seguita dal divieto di ogni forma di culto.
Oggi è di nuovo un luogo di pace: ospita infatti una fraternità di Sorelle Clarisse, 3 italiane e 4 albanesi, provenienti dal monastero di Otranto (Le), che ha scelto di aprire le porte dell’ex carcere annesso alla loro casa per rendere pubbliche le storie custodite da quelle mura.Tre anni fa i Frati Minori di Scutari hanno offerto alle Sorelle la possibilità di abitare e ridare vita a questo vecchio convento, ex prigione della Sicurezza di Stato, c’è voluta la buona volontà di molti per rendere agibile il luogo e farlo diventare quello che è oggi, un monastero e anche un memoriale delle persecuzioni.Prima della porta di ingresso al carcere ci sono dei ritratti appesi lungo il corridoio. Sono le foto di alcuni dei perseguitati che qui hanno trovato la morte, martiri per i quali la chiesa ha avviato il processo di canonizzazione. Molti di questi sono frati e sacerdoti: il clero, la classe intellettuale, artisti e studiosi. I magazzini del convento sono stati riadattati. Quattro stanze erano destinate agli interrogatori. In ogni stanza era fissato a terra uno sgabello vicino al muro, a cui il prigioniero veniva legato e torturato, anche tramite scosse elettriche. Nelle celle ci sono un paio di manette originali, appese a una grande croce in legno.stringono i polsi fino a far scoppiare le vene .Dai magazzini dei frati sono state ricavate le celle di detenzione<: tutte uguali, piccolissime, eppure riuscivano a contenere fino a 15 persone. Sui muri delle celle: croci, mezzelune e altri simboli delle diverse fedi che hanno sostenuto queste esperienze di sofferenza, incisi forse con un chiodo, come la più drammatica delle proteste.La città di Scutari sembra non conservare altra traccia di questo passato, che però è ancora vivo: non solo i sopravvissuti alle torture, ma anche coloro che sono stati costretti dal regime a condannare e torturare i propri fratelli, tornano in questo luogo e lasciano la loro testimonianza: "Se non volevo morire e non volevo che venisse fatto del male alla mia famiglia, dovevo dire di sì". Oggi si trovano insieme in Chiesa, come in un inconscio tentativo di riconciliazione.
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